venerdì 13 agosto 2010

È festa! con la PFM

La Premiata Forneria Marconi canta De André (e non solo) in concerto a Terracina, 8 agosto 2010

Due ore e mezzo di concerto non te le aspetti più da nessuno, in tempi in cui bisogna stare attenti a non sforare il limite di decibel consentito e, soprattutto, in tempi in cui “a mezzanotte tutti a casa”. Ma la PFM, un po’ per “una pacifica disobbedienza civile”, un po’ perché – diciamolo – se lo può permettere, non solo riesce a cavarsela egregiamente sul palco, ma riesce fino all’ultimo a coinvolgere i propri fan, facendo aumentare le emozioni in gioco di pari passo con il ritmo delle proprie canzoni. Al suo ingresso sul palco, subito prende la parola Franz Di Cioccio, uno dei membri storici della band, al quale spettano i saluti di rito e la presentazione del concerto: un iniziale tributo all’amico Fabrizio De André, insieme al quale, negli anni ‘70, la PFM ha dato vita a uno dei sodalizi meglio riusciti della storia della musica italiana, e una seconda parte dedicata invece ai pezzi storici e cavalli di battaglia del gruppo. Dopo queste poche parole, si lascia subito lo spazio alla musica: escono dal silenzio tutti gli strumenti, uno alla volta, come se si stessero risvegliando da un lungo sonno. Tastiere, batteria, basso, violino, chitarra iniziano subito in grande con “Bocca di rosa”, “La guerra di Piero”, “Un giudice”, “Andrea”, canzoni che riescono a trascinare il pubblico sull’ondata di una gioiosa malinconia. Seguono altri brani, in cui invece viene fuori l’esperienza privata del poeta De André, come “Giugno ‘73”, “Amico fragile”, “La canzone di Marinella”. A questo punto del concerto, la PFM ci presenta il suo nuovo lavoro “A.D. 2010 - La Buona Novella - Opera Apocrifa da La Buona Novella di Fabrizio de Andrè” attraverso tre brani: “L'infanzia di Maria”, “Maria nella bottega d'un falegname” e “Il testamento di Tito” (quest’ultima, a mio parere, una delle canzoni più significative del repertorio di De André). Prima di concludere la prima parte del concerto c’è anche spazio per una canzone in dialetto sardo, che, come ricorda Franco Mussida, era, insieme a quello genovese, il dialetto più amato da De André. È lo stesso Mussida a cantare “Zirighiltaggia (lucertolaio)”, canzone che ricorda le più classiche tarante e pizziche e fa subito venir voglia di ballare. E continuando sullo stesso filone musicale, accompagnandosi con i tamburelli, Di Cioccio e Mussida cantano insieme “Volta la carta”.
Rimangono inevitabilmente fuori scaletta molti dei pezzi più famosi del cantautore genovese, ma è ora di lasciare il posto a un tripudio di suoni e di strumenti dei più disparati, in tipico stile PFM, in tipico stile rock progressive. Si inizia con “La luna nuova”. Franz Di Cioccio prende il microfono più spesso, adesso. Spiega cosa c’è dietro i testi che hanno scritto e soprattutto spiega i tempi in cui sono stati scritti. “Era un po’ tutto come è adesso”, dice. “Nel 1975 la gente non si accorgeva che il mondo stava cambiando, proprio come adesso. (…) Il mondo è diventato un grande cesso che gira intorno al proprio asse”. È ora di “Out of the Roundabout”, tratto dall’album “Chocolate Kings” (1975), che dà l’opportunità al chitarrista Franco Mussida di lanciarsi in un assolo da far venire i brividi. Le dita si muovono veloci tra le corde e sembra che, almeno per loro, il tempo non sia passato. A seguire, altre belle note con “La carrozza di Hans”.
È quasi mezzanotte e, rassegnati all’imminente fine del concerto, aspettiamo il brano di chiusura, che per i fan del gruppo non può che essere “Impressioni di settembre”. E invece, proprio quando nessuno se lo aspettava più, ecco che ritorna tra noi il Faber, sulle note del violino di Lucio Fabbri che attacca con l’inconfondibile intro de “Il pescatore”. Tra l’entusiasmo generale, Di Cioccio invita il pubblico a fare, d’ora in avanti, quello che desidera e la risposta non si fa attendere: in un attimo i più giovani (che inizialmente, mimetizzandosi tra gli altri, non sembravano neanche così tanti) corrono sotto il palco. Gli uomini della sicurezza tentano di fermarli, ma niente si può fare contro un folla così entusiasta. L’ultima mezz’ora di concerto è un continuo battere di mani, un perpetuo ondeggiare di braccia e un’incessante raffica di flash che accompagnano anche l’attesissima “Impressioni di settembre” (sebbene Mussida si fosse finto restio a suonarla in quanto “fuori stagione”). Evidentemente colpito dall’ondata di energia di un pubblico così elettrizzato, Franz Di Cioccio sparisce per qualche attimo dietro le quinte e ne riemerge tenendo ben stretta tra le mani la sua videocamera che rivolge immediatamente sotto di sé, a riprendere quello spettacolo: un pubblico urlante, sulle note di “È festa (celebration)”. A mezzanotte e mezzo, però, ci avviamo verso la conclusione: Franz Di Cioccio ci presenta la band non in termini di persone, ma in termini di dita: 60 dita, per la precisione. Le prime dieci dita pigiano tasti bianchi e neri e sono quelle di Gianluca Tagliavini; altre dieci dita, quelle di Franco Mussida, si fanno magistralmente strada tra le sei corde di una chitarra; altre dieci dita, quelle di Pietro Monterisi, stringono due bacchette di legno, che a loro volta battono sopra tamburi e piatti; altre dieci dita, appartenenti a Patrick Djivas, fanno cantare le quattro corde di un basso; le altre dieci, facenti capo a Lucio Fabbri, riproducono melodie sinuose al violino; e le ultime dieci dita, quelle di Franz Di Cioccio, fanno quello che rimane da fare: si dividono tra batteria (il loro primo amore), tamburelli e strumenti a percussione di ogni tipo, e, all’occorrenza, fanno volteggiare in aria l’asta del microfono per poi riprenderla al volo.

Valeria R.

immagine di passo_variabile



Una luce bianca intermittente illumina il palco con brevi stacchi d’oscurità. Si spegne. Sei ombre salgono sul palco. E in un esplosione di luce viola, Franz Di Cioccio ci inizia a raccontare cosa accadrà nelle quasi tre ore successive, ma le parole non rendono, perciò la chitarra di Franco Mussida inizia a dargli manforte, seguita in rapida successione dalle tastiere di Gianluca Tagliavini, dal superbo violino di Lucio Fabbri, cui si aggiunge il ritmico incalzante sottofondo della batteria di Pietro Monterisi e del basso dell’eccelso Patrick Djivas. Le prime note di “Bocca di rosa” mi folgorano, mi riportano ai miei dieci anni, un’ intera estate passata ad ascoltare quella canzone, con quell’arrangiamento, la prima canzone di Faber che abbia mai ascoltato, la porta attraverso cui è entrato nella mia vita, modificandola, facendo di me quello che sono oggi. E quella porta ora è spalancata. Spalancata da questi sei signori, tre dei quali più vecchi di mio padre, ma con un energia ed un vigore che i ventenni si sognano. Cazzo, questo è Rock! Rock puro, profondo, aggressivo, che ti smuove l’animo dalle fondamenta. A “Bocca di rosa” segue “La guerra di Piero”, e così via in un crescendo che ha dell’incredibile: ogni pezzo ci si aspetta che sia un po’ peggiore del precedente, non accade mai, accade anzi il contrario, ogni canzone è una perla, familiare ma splendida nella sua originalità. “Andrea”, “La canzone di Marinella”, “Zirighiltgghia”, “L’infanzia di Maria” (pezzo inedito per il gruppo, che fa parte di un recente ed interessante lavoro di riedizione dell’album “La Buona Novella”), “Il testamento di Tito” sono un alternarsi di momenti di concitato entusiasmo e pacato ma intenso trasporto. Sulla giga di “Volta la carta” la voglia di alzarsi e ballare si trattiene a stento (tanto che lo strumentale verrà replicato verso la fine del concerto, essendo il pubblico più libero di partecipare attivamente). Ma il vero stupore è arrivato con quelli che probabilmente per il più della platea erano i due pezzi meno conosciuti, ma che per me sono tra le canzoni più care del vecchio Faber: “Maria nella bottega del falegname” e, soprattutto, “Giugno ‘73”, la storia di questo amore passeggero - la terza donna della vita di Fabrizio, quella che nessuno ricorda mai - a me ha sempre colpito molto; in questa canzone io sento il rimpianto di un amore perduto, e la rassegnazione di fronte alla vita che scorre portando via con sé le persone che abbiamo amato e che, se anche non dimenticheremo mai, e non verremo mai da loro dimenticati, non rivedremo mai più, perché spesso è la vita che decide al posto nostro. A dir poco commovente. Con una bella versione dell’intimistica “Amico fragile” si chiude la prima parte del concerto, ed allora ecco la sorpresa! Il repertorio progressive targato P.F.M. si rivela egregiamente all’altezza di quello cantautoriale targato De Andrè. Pezzi come “È festa (Celebration)”, e soprattutto “Maestro della voce” sono state per me, che conoscevo La Premiata Forneria Marconi principalmente come gruppo strumentale, delle vere e proprie rivelazioni. Di certo non mi hanno sorpreso i virtuosismi musicali di gente del calibro di Lucio “Violino” Fabbri e di Patrick Djivas, che riesce a rendere un giro di basso più coinvolgente di un assolo di chitarra elettrica, ma vi posso assicurare che anche se aveste passato la vostra vita ascoltando i migliori musicisti del mondo non avreste potuto esimervi dal restare a bocca aperta (come è rimasto il sottoscritto) di fronte a ciò che Franco Mussida è riuscito a creare nell’assolo di “Out of the roundabout”.
Comunque dopo due ore buone di concerto, la P.F.M. decide di chiudere suonando “Il pescatore”. È il delirio: la gente coinvolta ed esaltata si lancia sotto il palco ma viene bloccata dagli addetti alla sicurezza, al che Di Cioccio urla di lasciarli passare; non fa in tempo a dirlo che dalla parte opposta della platea un altro gruppo si riversa come un’onda sotto il palco. Un concerto che era praticamente finito si rianima: Mussida rischia il linciaggio quando prova ad accennare la sua intenzione di non suonare “Impressioni di settembre”, pezzo che viene puntualmente e magistralmente eseguito dallo stesso Mussida con Di Cioccio che riprende il suo posto originale alla batteria, tra strumentali ed assoli il gruppo va avanti per un'altra quarantina di minuti. Il concerto finisce in un’ovazione generale alla presentazione dei singoli membri del gruppo e con la convinzione che se nessuno avesse staccato la spina a Di Cioccio, lui avrebbe potuto continuare per tutta la notte.
Insomma con una vecchia guardia così chi ha bisogno di giovani musicisti?!

Stefano P.



Libreria musicale:

Bocca di rosa
La guerra di Piero
Giugno '73
Il testamento di Tito
Il pescatore

E' festa (celebration)
Out of the roundabout
Maestro della voce
Impressioni di settembre

6 commenti:

  1. Concordo pienamente con quello che i due recensori dicono. Ero presente anche io, e posso dire che vedere dal vivo una band del genere è qualcosa di incredibile.
    Quello che mi ha colpito di più è stata la loro energia, specialmente se messa in relazione con la loro età: davvero, hanno suonato per due ore e mezza senza praticamente mai fermarsi. E come hanno suoanto, poi! Le canzoni di De Andrè acquistano nuova vita con le loro melodie, ma il repertorio progressive è qualcosa di inimmaginabile (anche se a mio parere un po' troppo ripetitivo...)

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Descritto in questi toni, penso proprio che sia stato un peccato non esserci. E' banale dirlo, ma non ci si aspetta di essere sorpresi a tal punto da un gruppo che da più di 30 anni è sulla scena musicale e che di concerti ne avrà fatti eccome. Ma alla fine anche questa è una riprova della loro bravura. Avrei proprio voluto sentire L' infanzia di Maria e il Testamento di Tito, ma anche La canzone di Marinella e ovviamente Il pescatore, avrei voluto sentirle tutte.
    Valeria, il tuo articolo mi è piaciuto tantissimo, complimenti!
    (scusate per il commento di sopra, devo averlo cancellato per errore)

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  4. Luigi, dovresti farmi un monumento per averti iniziato alla VERA MUSICA ITALIANA!!! Anzi, tieniti pronto perchè tra poco ti passerò tutta la mia libreria iTunes: non è possibile che tu non conosca ancora De André, Guccini, Battisti,Battiato ecc. ecc.

    Grazie mille per il complimento, Selvaggia, sono contenta che ti sia piaciuto il mio articolo... :D
    Ti consiglio di tenere d'occhio il sito della PFM perchè in autunno comincerà il nuovo tour per promuovere il remake de "la buona novella" quindi credo che viaggeranno un bel po' per tutta l'Italia. e sicuramente passeranno anche per Firenze! ;)
    Ora mi manca all'appello solo un bel concerto di Guccini: chissà che non ci si possa organizzare e andarci insieme! magari a Bologna...

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  5. si vabbè,
    ma l'hanno fatta "jamme n'po' e forza terracina"?

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  6. avoja tizzy è stato il pezzo forte

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