sabato 17 luglio 2010

Toy Story 3: verso l'infinito e oltre!

Quando, un paio di anni fa, venni a sapere che la Pixar aveva in cantiere un terzo episodio della serie Toy Story, devo ammettere che rimasi alquanto perplesso. I primi due film erano stati dei capisaldi della mia infanzia, erano entrambi ben fatti, e a modo loro avevano delineato una storia che sembrava conclusa. Che senso poteva avere un nuovo sequel, a undici anni di distanza dall’ultimo episodio? Visto che la serie di Toy Story è stata l’unica (finora) cui la Pixar abbia mai dedicato più di un film, mi venne il dubbio che il tutto potesse essere etichettato come una semplice operazione commerciale, volta a vendere merchandising e altre amenità simili. Beh, mi sbagliavo: Toy Story 3 è uno dei migliori seguiti che siano mai stati realizzati nella storia del cinema. E, soprattutto, è uno dei più necessari e sensati.

La trama del film comincia esattamente lì dove si interrompeva quella del secondo episodio. O meglio, si riaggancia ad essa facendoci capire, nel giro di poche scene, che anche nel mondo della finzione sono passati dieci anni. Andy, bambino nelle due precedenti pellicole, è oggi un diciassettenne in procinto di partire per il college, e viene sollecitato dalla madre a mettere in soffitta un po’ di roba vecchia. A causa di un’incomprensione, però, i suoi vecchi giocattoli finiscono dapprima in un secchio della spazzatura e poi, dopo una rocambolesca fuga, all’interno di un asilo, il Sunnyside. Qui entrano in contatto con una nuova, sterminata, comunità di giocattoli, guidata da orso di peluche rosa chiamato Lotso. Ben presto, i giocattoli di Andy si accorgeranno che la realtà dell’asilo è molto più oscura di quanto non appaia a prima vista.

Bastano pochi fotogrammi per riportare lo spettatore ai tempi del primo film. Del vecchio “cast” ormai sono sopravvissuti solo i personaggi principali: Woody e Buzz, ovviamente, e poi la cow-girl Jesse, il cavallo Bullseye, Mr. & Mrs. Potato, il dinosauro Rex, il cane a molla Slinky e il salvadanaio Hamm. Anche a distanza di anni, la caratterizzazione degli eroi di plastica funziona ancora a meraviglia: ognuno ha la sua personalità, le sue caratteristiche e uno stile ben definito. A questi si aggiunge una valanga di nuovi personaggi: alcuni di questi ben descritti (il già citato Lotso, Ken, i giocattoli della bambina Bonny), altri abbozzati soltanto di sfuggita (come la gang del cattivo). Anche Andy appare credibile nel suo passaggio da bambino ad adolescente, e a sottolineare il passaggio del tempo arrivano anche alcuni simpatici richiami alla realtà contemporanea (i giocattoli che cercano la propria quotazione su Ebay, il triceratopo che chatta, un simil-Google Maps…). L’atmosfera, insomma, è ben delineata e ci trasporta dritti nel cuore della storia.
Per di più non si notano forzature o elementi fuori posto, ogni cosa è in linea con il resto, tutto appare credibile. Così il terzo capitolo si rivela essere quasi necessario e addirittura fondamentale nell’economia della saga: fornisce una vera (e definitiva) conclusione a una vicenda che sembrava – ma solo apparentemente – già terminata. In tal senso sembra quasi che tutto fosse già delineato nella mente dei suoi creatori, anche se ovviamente non è così: ad averne, però, di sequel talmente ben fatti e congegnati!

La trama, pur ricca di colpi di scena e inaspettati cambi di fronte, è a dire il vero poco più che un pretesto. Alla Pixar non interessa questo aspetto delle proprie pellicole – e lo ha già dimostrato con le sue ultime opere. Quel che più colpisce in Toy Story 3 è la capacità degli autori di emozionare lo spettatore. Giocando in parte su quello che chiamerei “effetto saga” (in fondo è il capitolo conclusivo di una trilogia, e in questi casi i fan affezionati entrano in sala già propensi alla lacrimuccia), ma in parte anche sul proprio straordinario talento, gli artisti della Pixar hanno confezionato un prodotto meraviglioso e commovente. Mai come in questo film i giocattoli appaiono umani, con sentimenti e pensieri reali e credibili; per di più si trovano di fronte a scelte morali non indifferenti, che rendono i protagonisti veramente a tre dimensioni (anche senza l’ausilio degli appositi occhialini). La girandola di sentimenti che sin dalle prime sequenze attanaglia gli spettatori giunge al culmine in alcune scene madri che rimarranno giustamente nella memoria di tutti: le scene nella discarica (soprattutto quella – da Oscar – all’interno dell’inceneritore) e gli ultimi minuti di film, dove è quasi impossibile trattenere le lacrime (avete notato che, nell’ultimissima scena, le nuvole in cielo sono uguali a quelle della camera di Andy?). Sotto il profilo emotivo, questo film – al pari di tutte le altre opere Pixar – ha molto da insegnare al resto della produzione cinematografica mondiale, e meriterebbe riconoscimenti maggiori del premio simpatia che racimola per il fatto di essere un “semplice” cartone animato.
Il film dà anche lo spunto per alcune riflessioni non scontate. C’è una bella vena di malinconia che pervade tutto il film, e che si sposa perfettamente con il tema principale del film: il passare del tempo. Non sono soltanto gli umani a cambiare (fisicamente e psicologicamente), ma anche gli stessi giocattoli: per chi – come quelli della mia generazione – è cresciuto ed è stato bambino con questi personaggi, fa un certo effetto constatare che molti dei giocattoli storici di Andy (la lavagnetta magica, l’auto radiocomandata, Bo la bambola di porcellana) non ci sono più, e che le mitiche assemblee indette da Woody si sono ormai ridotte ai minimi termini. Ed anche gli stessi protagonisti vivono in una sorta di clima da ultimi sopravvissuti: la maggior parte appare più disillusa rispetto al passato, e di gran lunga meno ottimista. Sono elementi che possono sembrare di secondo piano, ma che in realtà contribuiscono enormemente all’atmosfera del film.

La capacità di colpire al cuore le persone è sicuramente fuori dal comune, però, da sola, non basterebbe a fare di Toy Story 3 un capolavoro. Stiamo pur sempre parlando di un film, e in quanto tale deve anche essere gradevole da guardare: ma, anche qui, la Pixar fa nuovamente centro. Se, come è successo a me, vi è capitato di rivedere recentemente i primi due episodi della trilogia, guardando questa pellicola vi renderete subito conto dei passi da gigante che sono stati fatti, nell’ultima decade, sotto il profilo tecnico. Il primo Toy Story (datato 1995) fu il primo film nella storia ad essere interamente realizzato in digitale, e fece gridare al miracolo; il secondo (1999) surclassò il capostipite in ambito grafico, con una ricchezza di dettagli che mi sbalordì. Beh, il capitolo finale (con un budget record di 200 milioni di dollari) è una vera apoteosi di effetti digitali assolutamente perfetti. Dai dettagli (la sabbia sul corpo di Mr. Potato) all’interazione fra i vari personaggi, non si intravede neanche l’ombra di una sbavatura. A ciò va aggiunto il design dei nuovi protagonisti, assolutamente ben delineato: penso alla banda dei cattivi, ruvidi e malvagi quanto basta, o allo shakespeariano riccio di peluche.
Anche la regia ci mette del suo. Ero perplesso sulla scelta di Lee Unkrich, regista esordiente ma con esperienza di co-regista in altre tre pellicole Pixar: e invece il buon Lee non sbaglia un colpo, destreggiandosi fra acrobazie, carrellate e inseguimenti. Spettacolare la sequenza che apre il film – una surreale fantasia di Andy che vede per protagonisti i suoi giocattoli – che ha davvero poco da invidiare ai più blasonati film d’avventura. La sceneggiatura (di Michael Arndt, premio Oscar per Little Miss Sunshine) non dà un attimo di tregua: gli eventi si susseguono ad un ritmo indiavolato – specialmente nella seconda parte, davvero ricca d’azione – travolgendo lo spettatore in un vortice di tensione. Le musiche (opera di Randy Newman, con le canzoni cantate in italiano come sempre da Riccardo Cocciante) sono poi una gioia per le orecchie: qui c’è un abisso fra questa pellicola e le due precedenti, in verità un po’ piatte in quanto a colonna sonora; stavolta invece il registro musicale si adatta perfettamente alle situazioni, andando dal malinconico all’incalzante, e donando una vera marcia in più agli episodi.
Due parole pure sul doppiaggio italiano. I personaggi principali sono doppiati dagli attori storici della serie. Su tutti, ovviamente, dominano Fabrizio Frizzi (Woody) e Massimo Dapporto (Buzz): sarà che li ho sempre sentiti con queste voci, ma per quanto mi riguarda questi due personaggi non hanno ragione di esistere senza i loro due ottimi doppiatori. Diversi poi, secondo la consuetudine dei cartoon localizzati in Italia, i vip che hanno prestato la propria voce: si riconoscono Fabio De Luigi (Ken), Claudia Gerini (Barbie), Gerry Scotti (nel ruolo del telefono giocattolo), mentre meno intuitivo è Giorgio Faletti nel ruolo del clown. Nel complesso il doppiaggio è di ottimo livello, trascinato anche dagli straordinari caratteristi che danno voce ai giocattoli storici di Andy.

Come da tradizione Pixar, il film è preceduto da un cortometraggio, intitolato Quando il giorno incontra la notte. Anche questo è un piccolo gioiello: un mix di animazione tradizionale e tecnica digitale, in cui è messo in scena un incontro / scontro tra due buffi personaggi rappresentanti il giorno e la notte. Molto difficile da descrivere, va visto per capirlo: in ogni caso, anche volendo trovare un difetto qui, l’impresa è ardua.
O forse no. Ecco, a ben vedere qualcosa di storto c’è in questo film: si tratta della tecnologia 3D ormai dilagante (il film è uscito anche in un normale 2D, ma ormai trovare un cinema che non si sia attrezzato con le tre dimensioni è quasi impossibile). Davvero non riesco a capire che apporto possa dare questa tecnologia a un film del genere: a parte un paio di scene (in cui, come al solito, c’è un movimento dal fondo verso lo schermo, o viceversa), la restante parte della pellicola è pressoché priva di elementi tridimensionali degni di nota. In compenso era tridimensionale il prezzo del biglietto… Capisco che ormai tutti i cartoni siano “obbligati” ad uscire in 3D, ma la Pixar aveva davvero bisogno di questo bieco stratagemma per acchiappare il pubblico?

Concludendo, Toy Story 3 è un film bellissimo ed emozionante. Dando per scontato che abbiate visto i due precedenti capitoli, vi consiglio caldamente di andare a vederlo: difficilmente troverete in giro un film che vi faccia ridere, piangere, emozionare e riflettere come questo. A mio parere, è anche uno dei migliori film di questo 2010 cinematografico. La Pixar continua a non sbagliare un colpo, ma la attendo al varco l’anno prossimo con l’annunciato Cars 2 (ecco, magari quella sarà solo un’operazione commerciale). Toy Story 3 è un gran film, tanto sotto il profilo tecnico quanto sotto quello contenutistico. La sua unica pecca – ma in realtà non è neanche sua – è l’utilizzo del sempre meno convincente 3D. Che però un vantaggio lo porta: dietro a quei maledetti occhialetti, nessuno potrà vedervi piangere lacrime di commozione su uno dei finali più emozionanti che abbiate mai visto.

TOY STORY 3 - LA GRANDE FUGA
Diretto da Lee Unkrich
Voto: **** su ****

Luigi

9 commenti:

  1. Bravo Luigi, mi trovo concorde quasi su tutto ciò che hai detto. Gran bel film pieno di pathos ed ottima colonna sonora. Nel corto iniziale io ho visto un'apologia del 3D (che anch'io per altro trovo orribile) ma potrei aver sbagliato non so...

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  2. ottima recensione luì... mi sta venendo una grande voglia di andarmelo a vedere... se solo non fossi a londra! aspetterò di tornare in italia! sigh!

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  3. Anche a me è piaciuto molto questo terzo episodio e sono d'accordo con tutto quello che c'è scritto nell'articolo. Ma io, come sempre, mi concentro più sui contenuti che sulla tecnica. Di "Toy story 1" credo di aver consumato la videocassetta per quante volte l'ho visto, insieme a mio fratello e, in un certo senso, credo che Andy siamo un po' tutti noi di questa generazione. Non avendo una soffitta, la maggior parte dei miei giocattoli (per lo più barbie e ken) sono finiti in cantina, fino a che, qualche anno fa, non sono andata a ripescarli e li ho trovati tutti mangiati da muffa e umidità e mi sono trovata costretta a buttarli via. Morale della favola, una nutrita parte della mia infanzia è stata eliminata (almeno fisicamente). E pensare che avevo avuto così tanta fretta di liberarmi di loro, appena compiuti i 10 anni, credendo di essere diventata "grande". ok, perdonate le riflessioni nostalgiche...

    N.B.: nella parte sul doppiaggio, caro Luigi, hai dimenticato di citare la voce del cattivo orsacchiotto (da me riconosciuta dopo un breve ascolto, modestamente! ;P): Riccardo Garrone! Voce azzeccatissima, secondo me, autorevole, ma paterna, adatta a trarre in inganno i poveri giocattoli appena giunti al sunnyside.

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  4. Anche su altre recensioni che ho letto su internet si cita il corto iniziale per esaltare il 3D. Senza dubbio con le tre dimensioni l'effetto è venuto meglio, ma secondo me senza di esse l'idea sarebbe comunque rimasta geniale, e tecnicamente ne avrebbe risentito minimamente.

    Dai, credo che al tuo ritorno in Italia potresti trovarlo ancora nelle sale. Altrimenti potresti azzardarti a vederlo in inglese...

    Anche io penso che Andy incarni un po' tutti gli esponenti della nostra generazione (cioè chi è stato bambino durante gli anni '90). Credo sia anche per questo che il film mi ha coinvolto così tanto: diciamo che la serie si è sviluppata nel momento perfetto per noi, così che ci siamo gustati i primi due film da piccoli, e questo terzo (molto più profondo) lo abbiamo apprezzato al meglio adesso.
    Non mi ero dimenticato, ma non ho citato Riccardo Garrone perché non pensavo che così tante persone lo conoscessero. Comunque è vero, la sua voce è una fra le più azzeccate!

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  5. Ma a parte quello mi sembra di ricordare una frase sul progresso e l'innovazione che siccome non capiti vengono criticati o qualcosa del genere ma te l'ho detto potrei sbagliarmi...

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  6. ragà sono riuscito a vedere il corto iniziale e mi è piaciuto davvero moltissimo nonostante il 2D!

    io, per esempio, ricordo molto vagamente il primo toy story: una cosa però mi ha colpito moltissimo ovvero che i soldatini avevano la linea di saldatura sul lato, cosa che mi sembrava una vera genialata! riflessione profonda eh?

    saluti da londra!

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  7. Stefano, ti riferisci forse a quello che dice lo speaker radiofonico? Non so, a me sembrava che quella frase si riferisse alla diversità dei due tipi (e in generale, ovviamente, alle diversità tutte del genere umano).
    Si, credo si possa apprezzare anche in un "semplice" 2D: è l'idea ad essere originale, non la tecnologia. Ad essere geniale è la coordinazione fra le immagini e i suoni "in presa diretta": mi ha fatto morire quando il Giorno si sveglia e va in bagno...

    Ahah, la linea di saldatura dei soldatini è solo uno dei dettagli geniali. Senza queste piccole cose questi film non sarebbero gli stessi (anche se, in quanto a dettagli, credo che Cars batta tutti)

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  8. Sapevo che ti sarebbe piaciuto... sono completamente d'accordo con te, Luigi, su quasi tutto quello che hai detto. Solo una precisazione: il nome italiano del cavallo è "Bonsai" infatti la frase in Italiano è "Bonsai corri come il vento". Ho avuto oppurtunità di giocare anche al videogioco per la Xbox...carino e adatto alle mie basse capacità di videogamer!

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  9. Ah! In effetti avevo avuto il dubbio sul nome...

    Del videogioco ho visto la pubblicità in tv, e mi ha quasi impressionato (nel senso che sembra molto bello, soprattutto graficamente). Ricordo il videogioco di "Toy Story 2": un platform per Playstation sviluppato dalla Traveller's Tales in cui interpretavi Buzz Lightyear alla ricerca di Woody. Beh, era bellissimo: aveva tanti piccoli dettagli straordinari (uno su tutti: potevi mettere la visuale in prima persona, e in tal caso intravedevi il riflesso del volto di Buzz sulla visiera!) e tantissime cose da fare. Eh, erano altri tempi...

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